Jurassic World – Recensione
Le americanate sono come i dinosauri, non si estinguono mai del tutto. Dicesi americanata lo spettacolo fine a se stesso che si prende sul serio, finto e ricco di ridicoli artifici. Non dice nulla, non serve a nulla, intrattiene. Jurassic World è un’americanata. E’ un film che un nostalgico di Jurassic Park può solo odiare e che smonta tutto il bello che la pellicola originale di Spielberg aveva. Jurassic Park si fondava sul rapporto tra uomo e dinosauro, dominatori del pianeta terra separati dal tempo e trovatisi a contendere uno spazio nel medesimo istante. Guardando Jurassic Park ci si scopriva a tifare per entrambe le parti, difatti la storia aveva il grande merito di descrivere le due specie come meritevoli di guadagnarsi un posto nel mondo in egual misura. Diversamente Jurassic World non è nulla di tutto questo.
Tralasciando i pessimi minuti iniziali di presentazione dei protagonisti, veniamo catapultati dal film all’interno del parco come se fossimo sbarcati a Disneyland. La prima mezz’ora è una costante presentazione del parco, delle sue aree, delle sue attrazioni. Una mezz’ora piatta che di più non si può, forse a causa anche dei protagnosti Gray (Ty Simpkins) e Zach (Nick Robinson) davvero sbagliati per il ruolo. La fratellanza ha sempre avuto credibilità quando sono un maschio e una femmina ad interpretarla (come Tim e Lex in Jurassic Park). Pregi e difetti dei due generi si completano vivendo insieme gli eventi della storia. In Jurassic World i due fratelli non trovano posto e l’evento che li lega è off screen (il divorzio dei genitori) e ci viene solo raccontato.
Chris Pratt a differenza di quello che i trailer possono averci fatto credere non è il protagonista assoluto di Jurassic World, è un comprimario che aggiunge lo spirito avventuroso alla miscela. La teoria sul controllo dei Velociraptor risulta plausibile in tutto il suo snocciolare attitudini comportamentali da branco e relazione fiduciaria uomo-dinosauro. Il bello è l’instabilità del tutto, la paura che il tacito patto tra lui e il branco possa essere violato in un istante per un qualche improvviso imprevisto. Meno credibile è Bryce Dallas Howard, troppo posh per il contesto in cui si ritrova.
Il vero protagonista di Jurassic World non è però il parco, Chris Pratt o uno dei ragazzini ridicoli, ma è l’Indominus Rex, una creatura geneticamente modificata e sviluppata col solo scopo di alzare il livello di intrattenimento del parco. Il rettile ovviamente sfuggirà al controllo degli scienziati, uccidendo persone e animali a caso in un gioco al gatto e al topo che alla fine snerva tanto è protratto. L’Indominus si mostra dotato di un’ottima attitudine al problem solving ma non è chiaro quale sia il suo scopo: vuole rivoltarsi contro i suoi creatori o diventare dominante all’interno del parco? Il film non da uno scopo a questa intelligentissima creatura che si rivelerà alla fine solo molto egocentrica.
Tralasciando il finale davvero idiota in cui il personaggio della Howard in tacchi a spillo decide di sfidare un T-Rex a Chi arriva primo! una menzione di merito va al nuovo Ian Malcom: Lowery interpretato da Jake Johnson. La sua convinzione che i dinosauri siano più che mere attrazioni ci riporta alla mente il matematico Ian Malcom del primo film, ma in salsa Saturday Night Live, viste le gag che intrattiene con la sua collega Vivian, intereptata da Lauren Lapkus direttamente dalla serie Orange is The New Black.
Il mix che ne esce fuori è tragicomico, con battute da risata gelida in un calderone che conta una gita al parco e tanti morti ammazzati da una creatura impazzita. La tensione è smorzata dal clima ilare e viceversa, come poli negativi che si annullano rendendo lo spettacolo insipido e scialbo. Gli effetti speciali spaccano nella corsa finale dei Velociraptor e il Mosasauro in vasca è una bella trovata, però non basta ed è tutto già visto.