Quale film è il più grande concentrato di errori e inesattezze storiche? Ovviamente Il Gladiatore di Ridley Scott. Film bellissimo certo, da Oscar, con un Russell Crowe nel ruolo più cazzuto mai visto (e che mai più si rivedrà) e una colonna sonora Zimmeriana che difficilmente potrà essere superata per fama. Peccato che l’attenzione ai dettagli non sia la più grande virtù di questa pellicola. Vediamoli


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Nel film si indica la famosa arena con il nome di “Colosseo”, denominazione che risalirebbe all’XI secolo e che, all’epoca del fatti narrati, era chiamato “Anfiteatro Flavio”.
Russel Crowe, nella parte di Massimo, ebbe molte controfigure per le scene di azione. Alcune di esse erano Phil Neilson, Steven Breast, Stuart Clarke e Randx Scoot Miller, quest’ultimo utilizzato per la scena in cui Massimo veniva assalito da una tigre, in cui venne morso.
 L’attore Oliver Reed (Proximo) è morto poco prima del termine delle riprese del film, che di conseguenza è stato a lui dedicato. Le scene che non è riuscito a recitare sono state create con la tecnica digitale grazie a spezzoni di scene tagliate girate.
Il brano ‘Now We Are Free’, tema culminante della colonna sonora, è interpretato dalla cantante australiana Lisa Gerrard e non dall’irlandese Enya, come ritenuto erroneamente.
Nella visione aerea di Roma sono riconoscibili la basilica di Massenzio e l’arco di Costantino, costruiti solo nel IV secolo d.C., un secolo dopo le vicende di Marco Aurelio e Commodo. Stesa cosa per le cupole rinascimentali e successive.

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I senatori, i generali e i personaggi illustri si salutavano chiamandoli solo per nome proprio – Ave Caio, Ave Massimo, Ave Giulio – e non anteponendo il titolo – Ave Senatore Caio, Ave Generale Massimo, Ave Tribuno Giulio.
La frase: “Ave, Caesar, morituri te salutant” non veniva pronunciata dai gladiatori, ma dai condannati a morte come ci racconta Svetonio
La provincia dello Zucchabar, in cui sono ambientate le prime battaglie tra gladiatori prima che i personaggi confluiscano a Roma, non è mai esistita. In verità Zuccabar era una piccola cittadina situata nella provincia romana della Mauretania Cesarensis, odierna Algeria settentrionale mediterranea.
Marco Aurelio, padre di Commodo, che nel film muore soffocato dal figlio, nella realtà storica, invece, Marco Aurelio muore a causa di una malattia (forse della stessa peste antoninache flagellò l’Impero romano per un ventennio) nella fortezza legionaria diVindobona o nella città di Sirmium, il giorno 17 marzo 180 d.C..
L’imperatore Marco Aurelio doveva essere più giovane, mentre nel film viene presentato come un vecchio prossimo alla morte.

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Come testimoniato le sculture che lo raffiguravano, Commodo, come il padre, portava una folta barba, mentre nel film è sempre perfettamente rasato.
Nella scena del trionfo di Commodo appare quello che dovrebbe essere il Foro, di dimensioni enormi e completamente diverso dalla realtà.
Nella battaglia iniziale viene menzionato l’inferno, mentre nella religione romana si parlava di regno dell’Ade o inferi.
Nel film non si vede la “mutatio”, cioè l’alternanza di schieramento tipica dei combattimenti legionari, in più si vede lo schieramento romano aprirsi al primo assalto dei marcomanni, se questo fosse veramente accaduto sarebbe stato possibile perdere la battaglia, in quanto lo schieramento compatto era una componente determinante per la tattica della stessa legione.
Prima dell’assalto contro i germanici Massimo Meridio rivolto a Quinto dice «Al mio segnale: scatenate l’inferno!». Inferno che come concetto non esisteva ancora nella religione della Roma pre-cristiana.

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A quel tempo le meravigliose spade luccicanti che vengono sfoggiate erano nere o comunque scure visto e non d’acciaio
Nel film il gladiatore viene chiamato spesso “Ispanico”, in quanto proveniente dalla Spagna, ma in realtà dovrebbe essere chiamato Iberico in quanto all’epoca la Spagna non esisteva ancora.
Nella “battaglia di Cartagine” al Colosseo, da uno dei carri capovolti si intravede una bombola a gas.
Quando Marco Aurelio è nella tenda con Massimo, si vedono dei volumi di libri che ancora non esistevano. Si usavano le pergamene.
Per pubblicizzare gli spettacoli dei gladiatori nella provincia arabica dove R. Crowe è imprigionato, vengono diffusi dei volantini con la scritta “Gladiatores violentia” e raffigurazioni di combattimenti, che si presuppone fossero disegnati su papiro o pergamena, merce piuttosto rara da usare per promuovere un gioco di gladiatori in una povera provincia nordafricana.
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Dopo che è stato fatto prigioniero da Proximo, Massimo cerca di cancellare il famoso tatuaggio, grattandosi a fondo con una pietra, ma nelle scene successive la spalla non ha traccia di cicatrici.
Quando Rusell Crowe torna a casa, i campi di grano circostanti presentano evidenti tracce lasciate da trattori, inesistenti all’epoca.
I gladiatori nel circo massimo combattevano contro i leoni, non contro le tigri.
In ben due scene di battaglie compare la balestra, oggetto forgiato nel medio evo.
In una scena qualcuno libera un piccolo serpente-corallo, molto velenoso , che vive solo in America Centrale, America che non rientra tra le conquiste dei romani nel 180 d.C.
Nell’ultima scena, quella dell’alba, dietro al Colosseo si nota il lago della Domus Aurea, un bacino prosciugato e riempito di calcestruzzo per diventare il del Colosseo
La traduzione “Generale” (il grado con cui viene nominato Massimo) è sbagliata e Commodo non è morto nel Colosseo, ma in una congiura.
Durante la battaglia iniziale (e poi anche nell’assalto delle guardie pretoriane alla palestra dei gladiatori) si vede chiaramente che i soldati usano il pilum come una lancia, mentre è noto che fosse invece un giavellotto, utilizzato poco prima dello scontro “corpo a corpo”, al fine di danneggiare il nemico senza che poi lo stesso potesse reimpiegarlo in un lancio successivo contro i legionari stessi.
I Romani non facevano uso di proiettili incendiari (paglia greca) nelle battaglie campali, bensì in quelle navali o negli assedi, mediamente non incendiavano dove poi avrebbero dovuto combattere. In ogni caso questi proiettili non erano in metallo, e non esplodevano al contatto col suolo come i missili moderni.
La battaglia tra i romani e i germanici si svolge tra la neve, anche se è noto che i romani interrompevano tutte le guerre durante i mesi invernali.
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Durante la prima partita di gladiatori in Marocco, Massimo e Juba sono incatenati insieme, e dopo che hanno ucciso l’ultimo uomo, la telecamera fa un giro per l’arena proiettando la sua ombra sul petto di massimo per ben due volte.
Nella battaglia iniziale R. Crowe pianta la spada nell’albero, ma quando va a riprenderla si trova nel lato opposto.
Sappiamo da numerosi passi della Historia Augusta che le armate imperiali al tempo di Marco Aurelio, tornati dall’Oriente al termine delle campagne partiche di Lucio Vero (degli anni 161/2-166), portarono in tutto l’Impero, compreso il limes danubiano, un’epidemia di peste (la cosiddetta “peste antonina”),  che sembra abbia mietuto vittime per circa un quarto dell’intera popolazione nel solo mondo romano nei vent’anni successivi. Dell’epidemia nel film, però, non sembra esservi traccia, con l’esclusione di un breve accenno fatto da Gracco in Senato.
I fiore viola che adorna il viale della casa spagnola di Massimo, e depone sulle tombe dei suoi cari, è la buganvillea originaria dell’America Latina, importata in Europa solo dopo la colonizzazione di Spagnoli e Portoghesi.
In una scena l’imperatore Commodo conversa nel suo palazzo e attraverso una loggia, si vede quel cupolone che non esisteva ancora.
Dopo la scena di lotta finale, per evitare che la testa di Massimo morto cadesse all’indietro e rendere la posa più confortevole all’attore, la troup ha usato un cuscino di sabbia che purtroppo ’si vede’.
Il tema The Battle, è diventato il tappeto sonoro di parecchie trasmissioni televisive. Now We Are Free, accreditato erroneamente all’irlandese Enya, è invece interpretato dalla musicista australiana Lisa Gerrard, ed è un medley di due temi composti dalla stessa Gerrard e da Hans Zimmer (contenuti rispettivamente anche nelle tracce Elysium ed Honor Him), e sebbrne rappresenti un canto funebre, è stata usata per anni dalla pubblicità di una nota marca italiana di biscotti.

 fonte: Cineblog