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Whiplash – Recensione

Trailer   Scena finale


whiplash

Finito il film non ho potuto fare altro che schiacciare il tasto Rew e riavvolgere “il nastro” di circa dieci minuti, per rivedermeli ancora e ancora. I dieci minuti finali migliori di ogni film mai visto sulla musica, secondo solo a Shine, quel film un po insapore del 1996 di Scott Hicks, dove un giovanissimo Noah Taylor esegue il diabolico concerto numero 3 di Rachmaninov. E come in Shine anche in Whiplash c’è il desiderio di emergere come musicista di talento, c’è l’insegnate pazzo che però tanto pazzo alla fine non è, e c’è il discorso sui propri limiti fisici da superare per terminare il concerto/sfida sulle proprie gambe. 

La pellicola parla della storia di Andrew, giovane batterista 19enne di un conservatorio, che si imbatte nel prof. Fletcher, una sorta di sergente di ferro della musica, nonchè personificazione da incubo di ogni insegnante cagamutande che potremmo aver incontrato nella nostra vita. Entrato nell’orchestra di Fletcher, Andrew faticherà non poco per riuscire ad eseguire Caravan, il pezzo più difficile in assoluto mai scritto, per inciso uno di quelli da mani piene di sangue e pozza di sudore. Il rapporto professore-allievo diventa una vera e propria guerra col passare dei minuti, tra vessazioni e torture psicologiche di ogni genere. 

Vincitore del Sundance Film Festival 2014, Whiplash consacra Miles Teller come attore emergente da prendere in considerazione per eventuali capolavori, benchè i suoi connotati facciali non rispettino quei canoni estetici di perfezione che potrebbero renderlo credibile in futuri ruoli da belloccio. A non troppa distanza da lui c’è J.K. Simmons, un uomo che vorrei comprarmi e mettere aul comodino tanto è figo in qualsiasi parte che fa; senza di lui Whiplash sarebbe solo un filmetto scontato, senza di lui forse avremo riso nei momenti in cui dava del “frocetto” a chiunque e senza di lui non avremo trattenuto il fiato quando, nei momenti finali, da nemico diventa complice dell’impresa di Andrew.

Purtroppo il film termina con un cliffangher, e Dio solo sa quanto siano odiosi. Scelta registica poco condivisibile, soprattutto se stai raccontando una storia. Il proverbiale amaro in bocca è inevitabile e strappa il classico Nooooo  tra un titolo di coda e l’altro; avremo voluto vedere almeno la standing ovation che fa sempre salire il groppone alla gola, o la stretta di mano tra i due nemici/amici. E invece nulla, ci dobbiamo accontentare solo di immaginarlo il seguito, imparando la sacrosanta lezione che quasto film da: mai mollare.