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The green inferno – Recensione

Trailer


The-Green-Inferno-poster-ITASembrava una pellicola nata per sconvolgere. Un piccolo capolavoro scomodo che in pochi erano intenzionati a produrre. Il film che avrebbe riportato in auge il genere Cannibal di Ruggero Deodato. Deodato un cazzo! verrebbe da dire data la bassezza di questa robaccia che Eli Roth si ostina a fare. Purtroppo tutto il talento visivo del regista, le scenografie saturate di rosso e verde e il messaggio ecologista che sta alla base del film sono completamente annullati da una sceneggiatura che non trova un senso, perdendosi in un labirinto di scene grottesche che fanno a dir poco incazzare. The green inferno avrebbe potuto dare un contributo all’ horror contemporaneo, magari segnando nuovi percorsi tematici verso cui dirigere nuove produzioni (e dio solo sa quanto questo genere ne ha bisogno), ed invece si rivela l’ennesima porcata di un regista sicuramente sopravvalutato.


the green infernoIl forte carisma di un gruppo di attivisti ecologisti del campus universitario attira l’attenzione di Justine, una timida studentessa dai buoni voti e dalla spiccata sensibilità verso le classiche cause umanitarie per cui battersi: salvare la foresta amazzonica, mettere al bando l’infibulazione o sconfiggere la fame in Africa. Benchè la sua coninquilina di stanza sia contraria, la ragazza decide di partire col suo nuovo gruppo di amici in Amazzonia con l’intento di fare una protesta attiva contro la deforestazione indiscriminata, mandando in diretta streaming su internet il loro atto di coraggio. Arrestati e rimpatriati in fretta e furia dalle autorità locali i ragazzi si trovano a fare i conti con un improvviso malfunzionamento dell’aereo sul quale viaggiano che si schianta sulla foresta in pieno nulla assoluto. Confusi e spaventati, i sopravvissuti vengono catturati da una tribù di selvaggi che li conducono in tutta fretta al proprio villaggio per essere esaminati dalla sacerdotessa di turno. Ben presto Justine e i suoi compagni saranno testimoni dei riti cannibali della tribù, finendo uno dopo l’altro nel forno e nelle ciotole. Solo la ferrea volontà di sopravvivere sarà l’unica arma in grado di guidare i pochi superstiti verso la salvezza attraverso la giungla.


the green inferno

The green inferno ha una pecca rilevante, quella di non riuscire a creare uno stato di tensione crescente pur avendo come frecce al proprio arco l’arma del cannibalismo e delle immagini disturbanti in un contesto di totale isolamento dal mondo civilizzato. Solo questi elementi, se ben trattati, sarebbero stati sufficienti per trasformare il film in una discesa verso l’incubo a cui nessuno mai vorrebbe partecipare. Il regista Eli Roth sceglie invece di percorrere una strada più scanzonata, girando scene che inducono lo spettatore ad un costante e perpetrato facepalm. A onor del vero il film mantiene una sua concretezza fino all’arrivo in Amazzonia, scorre bene e i personaggi sono caratterizzati il tanto giusto da comprenderne il ruolo: lo stronzo, la zoccola, l’oca, il fighetto,  la lesbica, il fattone, la timida, il bonaccione, il losco. In pratica il ventaglio completo degli stereotipi caratteriali del cinema horror, da Venerdì 13 ad oggi.

Giunti in amazzonia si inizia a svalvolare. Ecco quindi che in una pausa cesso in piena foresta un ragno indugia sul pisello di un tizio (il fattone) intento a far pipì. Alcuni sostengono che quel ragno rappresenti un omaggio alla scena della tarantola in Cannibal Holocaust di Deodato, ma mi sembra un parallellismo troppo raffinato. Una volta catturati dagli indigeni e sottoposti a una guerra psicologica costante, una del gruppo (l’oca) non regge la tensione e caga un fiume di diarrea nella gabbia dove è rinchiusa, nel disgusto generale dei compagni di sventura e tra le risate dei bambini indigeni. Successivamente il disilluso capo spedizione Alejandro decide di masturbarsi davanti ai suoi amici per allentare la tensione e restare mentalmente lucido.


fatto

Come se non bastasse il gruppo decide di escogitare un piano geniale per fuggire: ficcano a forza un sacchetto pieno di marijuana in gola ad una compagna che si era appena suicidata sgozzandosi, con l’intento di sballare la tribù non appena se la sarebbero mangiata e quindi approffittare dei vaneggi per tentare la fuga. L’idea è ridicola, ma anche se avesse avuto un minimo di logicità, indugiare sulle facce sballate degli indigeni è qualcosa di troppo grottesco per risultare credibile. Purtroppo, finito l’effetto della droga, i cannibali sentono i morsi della fame chimica e dunque si scatenano in una scena alla The Walking Dead proprio contro il fattone del gruppo, rimasto vittima del suo stesso vizio.

Altre scene di tentata fuga condite di improvvisi annegamenti e relative urla (che richiamano i cannibali) rendono il tutto insopportabile.


Non si riesce a volere bene a The green inferno perchè ha troppi errori al proprio interno che disilludono chi in questo progetto ci aveva creduto. Eli Roth si è fatto prendere un po troppo la mano stavolta e ha perso il controllo del progetto che poteva avere una qualità sicuramente più elevata. La produzione in Amazzonia è stata dura e filmare una tribù di veri indigeni anche (non sono attori), ma gli errori a livello di sceneggiatura hanno reso, è proprio il caso di dire, il pasto indigesto.