Recensioni

La Grande Bellezza

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Per colpa del premio Oscar mi sono sentito in dovere di guardare l’ennesimo Sorrentino-movie, quello che secondo mezza italia è un film demmerda, e secondo l’altra mezza è un raffinato ritratto didascalico di matrice felliniana della Roma moderna. Dio quanto odio gli Oscar! A differenza di Cannes premiano un sacco di puttanate, di quelle che “si, carino, non mi è dispiaciuto” ma nulla più. E quindi namose a vedè sto film de burini.  Venti minuti iniziali di musica disco a palla me li sarei volentieri risparmiati, o quantomeno dimezzati. Anziani arrapati posseduti dal demone della goliardia, sono in queste scene l’espressione più elevata del godereccio buon vivere all’amatriciana. Purtroppo era solo il preambolo di una maratona non stop di due ore montata ad arte per farti rimpiangere il Grande Fratello su canale cinque.

Se uno conosce almeno due film di Sorrentino non potrà notare il suo tocco da maestro: carrellate su dolly ovunque, per stimolare l’attenzione dello spettatore sul dettaglio. Si ma che palle usarlo diecimila volte! Che palle tutte quelle panoramiche aeree di Roma per un certo senso slegate dal contesto, autoreferenziali, tremendamente didascaliche, da cartolina. Ci mostra Roma nei palazzi vuoti ricchi d’arte, nei balconi vista Colosseo, nei giardini notturni, nei salotti di sedicenti  intellettuali annoiati che si danno del “merdaccia” col sorriso cinico di chi ormai non riesce più a trovare bellezza in nulla se non nella propria miseria. E il protagonista Jep Gambardella in questo è un vero guru.

Interpretato da Toni Servillo, Jep è un giornalista di costume e critico teatrale che passa le giornate a frequentare la mondanità Romana nell’attesa di scrivere qualcosa di buono su qualcuno di valido. Peccato che di cialtroni ne è pieno il pianeta (come quell’artista che vive di vibrazioni) e di conseguenza scrive poco, beve molto, scopa altrettanto ma in generale si annoia. Un personaggio ambiguo che è il centro costante della trama, con massime da dandy consumato e charme da gentiluomo. E’ l’unica nota positiva del film e dona il suo meglio nella performance teatrale al funerale del figlio pazzo dell’amica. Importantissime istruzioni da applicare al prossimo funerale cui avrete il dispiacere di partecipare.

 

 

Molti pensano che un funerale sia un evento casuale, privo di regole, non è così. Il funerale è l’appuntamento mondano par excellence, a un funerale non bisogna mai dimenticarlo, si va in scena. Con pazienza si attende che i parenti si liberino dalla calca, e una volta accertatisi che tutta la platea sia seduta, solo a quel punto, si possono fare le condoglianze, In questa maniera tutti ti possono vedere. Si prendono le mani del sofferente, si appoggiano le proprie sulle sue braccia, si sussurra qualcosa all’orecchio, una frase sicura detta con autorevolezza. Per esempio: nei prossimi giorni, quando ci sarà il vuoto, sappi che puoi contare sempre su di me. E’ permesso raccogliersi in un angolo da soli, come a meditare sul proprio dolore. A questo però è richiesta un’ulteriore abilità. Il luogo scelto deve essere allo stesso tempo isolato ma ben visibile al pubblico. Inoltre una buona recita è tale quando è scevra da qualsiasi ridondanza, Dunque regola fondamentale ad un funerale non bisogna mai piangere, perchè non bisogna mai rubare la scena al dolore dei parenti. Questo non è consentito. Perchè è immorale.

 

Ok, molto bello, ma per il resto? Qualcuno mi spieghi il senso del personaggio de La Santa, la scena dei Fenicotteri, perchè la Ferilli prima è personaggio centrale e poi scompare dietro a una morte non troppo narrata. Che relazione esiste tra Jep, il ricordo delle tette della sua ex, i libri che non ha mai più scritto, la toccata e fuga con Isabella Ferrari, il personaggio sprecato di Verdone e la figura del vescovo, la giraffa. Tutte tematiche che imbeccano lo spettatore sullo sviluppo di possibili sotto trame fatte di sesso/amore/religiosità che sfumano nel no-sense di una trama che a quanto pare non ha un cacchio da dire, se non soddisfare l’ego di Sorrentino e nulla più. Lo rivedrò, lo ri-rivedrò a caccia di dettagli smarriti tra gli sbadigli, ma per ora l’unico giudizio che mi ronza in testa è che Fantozzi aveva ragione: La grande bellezza è una cagata pazzesca.