Recensioni

La vita di Adele

La vita di Adele è di diritto l’anello mancante tra il cinema e il porno. Facendo memoria non si ricorda una tale esplicita messa in scena del sesso. E non è solo un discorso legato alla mera inquadratura da primo piano, è proprio l’atto in sé. La lingua lecca proprio il punto proibito, le dita entrano proprio nei più sacri dei buchi e, nel tripudio di sfregamenti e penetrazioni manuali, un insaziabile godimento orgasmico fa vibrare le casse del sonoro. Il film è una parabola tragico-romantica sull’amore in sé, concettualizzato in un passione lesbica bruciante che non può non colpire e rapire. La scoperta del vero amore in chiave lesbo è un’esperienza che il cinema ha ben esplorato negli anni, senza però mai andare oltre il comune cliché dell’adolescenziale voglia di sperimentazioni e della difficile accettazione della propria sessualità da parte di amici e parenti. Il sesso è comunque una componente essenziale del rapporto umano e il film non si concede remore nel mostrarne gli angoli con disinvoltura sconcertante, senza preoccuparsi di smussarli a dovere.

lea-seydoux-adele-exarchopoulos-interview-magazine-05Se non si è preparati al vedere un certo tipo di contenuti, per le più svariate ragioni personali, il film può diventare seriamente pesante a causa della sua lunghezza e del prolungato minutaggio che indugia sui rapporti sessuali. Eppure, quello che potrebbe sembrare un volgare esercizio di cinema, riserba contenuti emozionali ben lontani dal consueto concetto di “chiavata”. Il film è bravo nell’imbastire una iniziale ora di caratterizzazione del personaggio di Adele, premendo sulla sua evoluzione interiore da adolescente etero e inconsapevolmente bisex, a bisex con tendenze marcatamente lesbo. E’ sempre noioso e disonesto attaccare queste etichette all’amore, ma ritornano utili nel momento in cui si cerca di raccontare una storia. In verità, al di là delle semplificazioni date dell’etichetta, l’amore è amore e basta; può succedere con chiunque, maschi o femmine che siano. E non è qualitativamente inferiore se è omo piuttosto che etero. Il regista Abdellatif Kechiche lo sa tanto quanto Adele, e si sforza di farlo capire anche a chi ignorava questa sfumatura della vita o ne aveva un concetto distorto.

Il film gioca su due tempi. Nel primo conosciamo Adele e la sua lunga presa di consapevolezza della diversità sessuale, fatta per tentativi con scopate etero poco entusiasmanti e baci saffici rubati. L’essere nel posto giusto al momento giusto può portare al famigerato colpo di fulmine e, dopo un rapido sguardo in strada tra Adele e una sconosciuta dai capelli blu, tutto cambia facendo girare il mondo al contrario. Da li in poi è una sequela di ansie e sogni erotici con altrettante masturbazioni. Almeno fin  quando non avviene il fatale incontro in un bar. Corteggiamento e innamoramento sono a un passo. La scoperta dell’altra sia nell’anima che nel corpo coprono due terzi buoni del film, dipingendo uno spettacolo fatto di sguardi e urlati orgasmi tanto convincenti da sembrare veri (clicca per le immagini più bollenti quiquiquiqui e qui). Adele affronta tutto questo con la classica innocenza di un adolescente, senza freni, senza paure.

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Ma i momenti di felicità si bilanciano con quarantacinque minuti finali davvero strazianti, in cui si apre il baratro del dolore e della disillusione di un amore che finisce senza tempestivi preavvisi. Qui l’attrice Adèle Exarchopoulos da il meglio di se, interpretando un’ Adele cupa e dai sorrisi spezzati, che indossa la maschera della normalità di fronte al mondo, ma che si lascia andare alla disperazione appena si chiude nella sua solitudine quotidiana. Una storia senza lieto fine che regala forti emozioni senza mai smettere di osare, che a ragione si è portata a casa la prestigiosa Palma d’Oro del festival di Cannes e che brilla per la bravura di due giovani attrici francesi (Léa Seydoux Adèle Exarchopoulos) a torto non troppo conosciute nei cinema esteri.