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Cloud Atlas [Recensione]

cloudTempo fa un amico andò al cinema a vedere Cloud Atlas. Per impegni imprescindibili (era la mia serata God of War III) dovetti rifiutare il suo invito con un certo rammarico e stetti a casa. Uscito dal cinema, mi chiamò pompando il film come qualcosa di visionario, intelligente, geniale e dal finale shock. Quei finali alla The Game di Fincher che ti fanno gridare al miracolo narrativo esattamente l’attimo dopo in cui ti sei reso conto che del film non avevi capito nulla. Ebbene oggi, armato di una curiosità simile a quella di un gatto davanti a un gomitolo di lana, decido di dare una possibilità ai Wachosky Bros., del resto sono o non sono i papà di Matrix? Sono o non sono i produttori/registi di V per Vendetta, Ninja Assassins e Bound – Torbido Inganno? Ecco appunto! Tralasciando le precisazioni sul fatto che definirli tutti e due papà è una scorrettezza, dato che Larry ora è Lana e che tra tanti bei film c’è un tale Speed Racer, decido di vedermi Cloud Atlas.

La sensazione finale è di puro disgusto per un film che pare fatto coi piedi. Nel senso che la pretenziosità del plot è talmente elevata da perdersi totalmente in un bicchier d’acqua. Il famigerato “il troppo stroppia” colpisce ancora. Le sei storie che si intrecciano tra loro in modo troppo accelerato rendono l’idea di una presa per il culo costante oltre che di una pretesa di concentrazione totale da parte dello spettatore, che spesso vuole solo essere intrattenuto. Succede una cosa strana in questo film: l’attenzione mentale viene a essere sovracaricarita oltre ogni limite. Solitamente un intreccio complesso richiede solo una buona dose di memoria, poichè si richiede il tenere a mente nomi e fatti all’interno però di una struttura narrativa lineare. Tizio è sempre Tizio, Caio è sempre Caio, e sempronio non smettere di esserlo in anima e corpo per tutto il film. In Cloud Atlas invece il Tom Hanks indigeno di una storia pochi istanti dopo diviene un medico a bordo di un vascello, e ancora dopo uno scienziato; nello stesso identico istante Ally Berry passa dall’essere cittadina di un mondo futuristico a giornalista scomoda a concubina di un vecchio compositore nell’arco di pochi minuti. E così via.

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In un mescolamento costante di ruoli e facce che a lungo andare non ti fanno capire nulla della trama. Nel film si aggiungono a questo meccanismo le performance di attori quali Hugo Weaving, Susan Sarandon, Hugh Grant, Jim Sturgess. Un orgia verbosa di interpretazioni lunga tre ore che fiacca lasciando il segno . Attualmente non ho ancora capito di cosa parlasse il film, e leggendo alcune recensioni sulla rete, non sono di certo l’unico. Il film è un polpettone tristemente perbenista, con la fastidiosa pretesa morale di predicare il giusto e lo sbagliato, l’essenza della vita e della morte, il bene e il male. Insomma un film con la verità in tasca. E’ un frullato di suoni e concetti che potevano essere espressi in molto meno di  180 minuti data la totale vacuità del messaggio finale. E’ una pellicola stressante e  francamente mancano le giuste parole per descrivere lo sgomento. La sensazione è quella di aver investito male parte del mio tempo e credo non sia mai un buon segno cinematograficamente eparlando