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Ant-Man – Recensione

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Hank Pym (Micheal Douglas) entra in una grande sala riunioni nel cuore del Trischelion, l’head quarter dello SHIELD. Ad aspettarlo ci sono Howard Stark, l’Agente Peggy Carter e il burocrate Mitchell Carson. Non siamo nel presente ma nel 1989 e Pym, che ha circa 45 anni, è un ringiovanito Michael Douglas appena uscito dal primo Wall Street di Oliver Stone. L’effetto di ringiovanimento (in gergo de-aged) operato sul suo viso dalla società Lola VFX è sbalorditivo e non si ha quasi la minima percezione che la CGI stia nuovamente facendo una delle sue magie. Lontani i tempi di Tron Legacy e del pupazzo Jeff Bridges, qui siamo ad un livello di chirurgia digitale talmente avanzata da confondersi con la realtà. E’ questo l’incipit di Ant-Man ed è questo l’antipasto che la Marvel ci serve a pochi secondi dall’inizio del film, preparandoci a qualcosa verso cui confessiamolo, eravamo tutti scettici. Supereroi che si rimpiccioliscono e cavalcano formiche controllate telepaticamente? <Ma che roba è?> ci chiedevamo circa due anni fa, con un senso di malcelata curiosità che oramai è storia vecchia.


ant-manIn un presente post Avengers e post Ultron (i chiari riferimenti ce lo fanno capire) Scott Lang è un ladro d’appartamento che sta finalmente uscendo di galera. Nel frattempo il mondo è andato avanti, sua figlia è cresciuta e sua moglie ha sposato un poliziotto. Non tutte le cose cambiano però, ed infatti il migliore amico/ex compagno di cella lo trascina nuovamente nel mondo del crimine e dei furti con effrazione per fare soldi facili. Obiettivo? La cassaforte di un riccone apparentemente piena di contanti. Dopo un colpo degno del buon nome di Danny Ocean, Scott scopre che nella cassaforte c’è solo uno strano costume e, con delusione,  se lo porta a casa. Sarà l’inizio della sua avventura da Ant-Man e dell’incontro con il leggendario Hank Pym, primissimo uomo formica estromesso dalla stessa società da lui fondata per mano di Darren Cross, l’ambizioso pupillo di un tempo. Scott ed Hank, con la complicità di Hope (figlia di Hank) cercheranno di salvare il mondo sottraendo a Cross la sua nuovissima e terribile invenzione: il calabrone. Una tuta da battaglia coi medesimi poteri di Ant-Man, ma che in più vola, spara laser ed è pronta per essere venduta a caro prezzo all’ organizzazione Hydra, ormai onnipresente nell’universo Marvel alla stregua della tentacolare SPECTRE di 007.


ant-manPaul Rudd è perfetto nel ruolo di Ant-Man, supereroe inizialmente impacciato ma che lentamente prenderà consapevolezza dei propri poteri e del valore rappresentato dalle formiche, con le quali stringerà un velato rapporto di fiducia cane-padrone. Il casco gli permette una rapida trasformazione dei suoi pensieri in messaggi comprensibili dai microscopici insetti, ed una volta che il meccanismo viene compreso e diventa spontaneo il film decolla verso il più puro entertainment. Lo scetticismo di Lang verso una tecnologia apparentemente ridicola è lo stesso che nutriamo inizialmente noi spettatori, così che mentre l’uomo evolve in eroe, noi evolviamo con lui convincendoci che in fondo è tutto più che plausibile. Evangelin Lilly riesce finalmente ad entrare in un personaggio a lei congeniale, recitando con quell’aria tra lo speranzoso e l’incazzato che era tipica della sua Kate in Lost, allontanandosi dall’odiosa elfa Thauriel in Lo Hobbit, falsa e senz’anima. L’unica nota dolente forse è il villain principale non troppo azzeccato, eccessivamente morbido soprattutto nel momento in cui si accenna ad una sua probabile pazzia per colpa delle particelle Pym. Corey Stoll non riesce a rendere bene questa mutazione e resta incastrato in un ruolo un pò annacquato, per non dire insipido. Ridateci Willem Defoe!


In un universo sempre più vasto come quello cinematografico della Marvel, le connessioni si fanno sempre più necessarie. Il collante che lega il tutto a livello narrativo risiede come sempre nell’inserimento di personaggi appartenenti ad altri film, che però vivono all’interno del medesimo continuum temporale (l’unico fuori contesto era il primo Captain America). Quindi ecco palesarsi Falcon (Anthony Mackie), ufficialmente diventato Avenger e con il quale Scott Lang avrà un diverbio senza esclusione di colpi ma grazie al quale si guadagnerà l’onore di essere reclutato per future missioni. Oltre a questo abbiamo qualche citazione sugli Avengers – Pym dirà che sono troppo occupati a schiantare città dal cielo (come nel finale di Age of Ultron) – e su Spiderman, definito uno tizio “che si arrampica”.


ant-manAnt-Man è un’altro fulgido esempio di bravura nel fare i cinecomic. Ormai l’hanno capito tutti che per fare un buon film supereroistico bisogna avere la bravura e l’esperienza adatta, non tanto a livello registico ma a livello produttivo (il recente flop dei Fantastici Quattro targato Fox ne è la prova). Diversamente dalla Fox alla Marvel le cose funzionano diversamente, alla Marvel un certo Edgar Wright dopo 8 anni di lavorazione sul At-Man e a due settimane dall’inizio delle riprese viene candidamente accompagnato fuori dalla porta per divergenze creative, col risultato che il film viene girato dal semi sconosciuto Peyton Reed il cui ultimo lavoro è Yes Man, con Jim Carrey. Il genio dietro ad ogni capolavoro non è mai il regista, che al massimo fornisce un plus creativo, ma è Kevin Feige, presidente dei Marvel Studios e signore incontrastato di tutto. E’ un artigiano che conosce alla perfezione il mestiere produttivo e quando sceglie qualcuno (attore, regista, sceneggiatore) lo fa con una visione di insieme dettagliata.  Il successo confermato dal Box office di Ant-Man è l’ennesima dimostrazione che la macchina Marvel è inarrestabile e difficilmente si fermerà davanti ai futuri Batman V Superman o Suicide Squad, tutti prodotti concorrenti dell’impacciata accoppiata Warner/DC.